Il motivo per cui affiancare la previdenza complementare a quella pubblica, come riportato dalla COVIP nella sua "Guida introduttiva alla previdenza complementare", risiede nel fatto che il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra il primo assegno pensionistico e l'ultimo reddito percepito prima del pensionamento, è in costante diminuzione.
Le modifiche che hanno coinvolto il nostro sistema pensionistico, portandolo alla forma attuale, sono iniziate già negli anni '90 per risolvere criticità che ancora persistono:
Invecchiamento della popolazione, riduzione dell'espansione demografica (basso tasso di natalità) e aumento dei pensionati.
Aumento della durata della vita media.
Rallentamento della crescita economica e una dinamica del lavoro non lineare, con un elevato tasso di disoccupazione.
Per affrontare queste condizioni, sono stati adottati provvedimenti volti a:
Innalzare l'età richiesta per andare in pensione sia dal punto di vista anagrafico che contributivo, con un adeguamento in base all'aumento della speranza di vita media.
Per determinare l'entità dell'assegno si prende in considerazione:
I contributi versati durante la vita lavorativa (metodo contributivo)
La crescita del PIL (alla quale vengono rivalutati i contributi versati)
La speranza di vita (durata media del periodo di pagamento della pensione).
La pensione erogata viene poi rivalutata in base all'andamento dell'inflazione.
Soffermandoci al punto 2, possiamo velocemente analizzare le difficoltà che continuano a influenzare negativamente l'entità del nostro assegno pensionistico finale:
In riferimento al punto a): La discontinuità lavorativa ritarda l'ingresso nel mondo della pensione, poiché i periodi non lavorativi riducono i contributi versati.
In riferimento al punto b): IIn Italia, anni di crescita economica stagnante riducono le risorse per finanziare il sistema pensionistico e limitano la rivalutazione dei montanti contributivi, rendendola inadeguata per le esigenze future dei pensionati.
In riferimento al punto c): La speranza di vita continua ad aumentare, ampliando il numero di pensionati. Tuttavia, senza un adeguato ricambio generazionale, ci saranno sempre meno individui che versano contributi e sempre più persone che richiedono assistenza previdenziale
I 3 pilastri del sistema pensionistico Italiano:
Il sistema previdenziale italiano si fonda su tre pilastri principali:
Primo pilastro: la previdenza pubblica obbligatoria, finanziata dai lavoratori e dai datori di lavoro durante tutto il corso della vita lavorativa
Secondo pilastro: la previdenza complementare collettiva, alla quale i lavoratori aderiscono tramite accordi collettivi.
Terzo pilastro: la previdenza complementare individuale, realizzata attraverso adesioni individuali.
Le forme pensionistiche del secondo e terzo pilastro hanno l'obiettivo di mantenere lo stesso tenore di vita una volta cessata l'attività lavorativa.
Le diverse tipologie di previdenza complementare includono:
Fondi pensione chiusi (o negoziali): istituiti attraverso accordi tra datori di lavoro e sindacati o associazioni di categoria (come contratti collettivi nazionali, accordi aziendali o intese tra lavoratori autonomi e liberi professionisti). Questi fondi sono creati dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell'ambito della contrattazione nazionale, settoriale o aziendale.
Fondi pensione aperti: istituite da banche, compagnie di assicurazione, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM).
PIP - Piani Individuali Pensionistici: forme di previdenza complementare con finalità assicurativa integrativa
Fondi pensione preesistenti: fondi già esistenti prima dell'introduzione del Decreto Legislativo 124 del 1993, che ha regolamentato per la prima volta la previdenza complementare.
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Per un'analisi dettagliata delle diverse forme di previdenza complementare e per aiutarti nella scelta della soluzione più adatta per pianificare la tua pensione, ti invito a leggere il mio articolo "ATTENZIONE ALLA TUA PREVIDENZA COMPLEMENTARE" (clicca qui per leggerlo)
Per i lavoratori che aderiscono a un fondo pensione tramite un accordo collettivo o un regolamento aziendale, il datore di lavoro contribuisce alla loro posizione individuale con:
Il contributo dell'aderente, secondo l'importo previsto dall'accordo collettivo o dal regolamento aziendale, con la possibilità per il lavoratore di versare un importo maggiore.
Il contributo dell'azienda, stabilito in base all'accordo collettivo o al regolamento aziendale.
Il TFR futuro come previsto dall'accordo collettivo o dal regolamento aziendale.
I contributi versati possono essere dedotti dal reddito complessivo fino a un massimo di 5.164,57 euro all'anno. Questo importo include l'eventuale contributo del datore di lavoro e i versamenti effettuati a favore dei soggetti fiscalmente a carico per l'importo che questi ultimi non hanno dedotto. La quota del TFR, invece, non è deducibile poiché non rientra nel reddito imponibile.
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